“Il marinaio migliore” di Catia Manna è un libro che possiede almeno due caratteristiche piuttosto rare per il panorama poetico italiano anche contemporaneo.
La prima è quella di trovare una sintesi fra la ricerca di una poesia di qualità – né accademica né pop – e la capacità di parlare al vivere quotidiano della gran parte della gente comune.
La seconda è quella di far scaturire questa ricerca non da ciò che all’interno di essa si vuole affermare, bensì da ciò che si vuole negare.
Quello di Catia è un linguaggio diretto, privo di retorica o giri di parole, fatto di molteplici giochi e ribaltamenti di senso che sembrano quasi “afferrare per la maglia” il lettore strattonandolo oltre il confine del senso comune che gli è stato recintato attorno. Per trascinarlo nel vortice della decostruzione sociale che la poesia fa, alla ricerca di un orizzonte di senso tanto radicalmente opposto, quanto forse ancora difficile da decifrare
Non convincerai
i miei pensieri da strada
Condoglianze
per aver sacrificato
i tempi morti
[…]
Vesti solo parole
che rinvengano frammenti
di dignità
Immagina quando vuoi
una felicità fuori catalogo
[pag. 50]
Colpisce della poesia di Manna la forte intensità della versificazione, data tanto dal gioco o dal ribaltamento di senso quanto dalla luminosità e dal “peso specifico” che ogni singolo verso sembra trasudare. Cucendo così intelaiature poetiche che fanno restare aggrappati al foglio togliendo il respiro, oppure accelerandolo nel tentativo di contenere il rapido mescolarsi dei battiti cardiaci
Anticipiamo?
Non vedi il rosso
Le mie mani stringono
i tuoi sussulti di freddo
Abusiva
a voler provare subito
come si sta nel tuo infinito
[pag. 33]
Chi vive nelle periferie?
Il cielo si squarcia di respiri
Sono in debito di distruzione
Quanti versi mi apparterranno
dopo il saldo con il passato?
[pag. 41]
Ma questo “viaggio al termine del linguaggio costituito”, Catia Manna non lo fa appunto né in una logica di eroismo né di avanguardismo più o meno intellettuale. Bensì a partire dal vissuto quotidiano e dalle necessità di dare risposte concrete a quelle che sono le esigenze sue come di molta gente.
La poesia di Catia sa prenderci per mano quando necessario, tenendoci stretti durante il volo sulle montagne russe della mente teso a scardinare i meccanismi di inibizione che costruiscono la nostra realtà
Anche questa volta offro io
Mi prendo tutto il sole
[…]
Tra le voci di ogni paese
la tua li ha visitati tutti
Io, invece, parto sempre
prima dei viaggi
[…]
La gente ci cammina tra le rovine
Sono il punto di ritrovo
Lascio come mancia la ragione
L’ho assaporato davvero
il caffè al Pantheon
[pag. 29]
E lo fa in un costante ed impietoso smascheramento delle convenzioni sociali che associano sensi e significati imposti. A tratti un vero e proprio antagonismo poetico pronto a disinnescare gli ordigni celati dietro ad ogni rivolo o cristallo di potere
Il mio cuore radicale
manifesta
Le tue forze dell’ordine
sono schierate
[…]
Come uno stato
che illude e dimentica
Ha bisogno dell’uomo
per celebrarsi
al suo funerale
[pag. 12 e 13]
Inserendosi dunque all’interno di una tensione generazionale che sembra puntare ad una possibile riqualificazione del soggetto poetico, come vettore di liberazione dal linguaggio istituito e dalle dinamiche sociali che esso traduce. Trasformando così il nonsense in radici di senso potenzialmente infinite.
E sviluppando immagini molto forti, frutto di associazioni estetiche per niente altezzose o fini a sé stesse, ma belle e penetranti nel loro infrangesi contro le scogliere dell’essere
Anche se il vento ha voltato la pagina
del libro senza titolo fra le mie mani
[…]
Le case sono rosse d’artificio
Il colore primario cade in gocce
d’acqua nelle cucine vuote
Al blu dei cortili il giallo della luna
diventa la speranza di esaudire la sua voce
Se fossimo i nostri colori primari
saremmo diversi quanto le loro combinazioni
[pag. 25]
Ci sono anche dei punti deboli? Forse sì. Forse “Il marinaio migliore” è per Catia Manna un’opera di maturazione poetica importante, che in alcuni passaggi non ha però ancora il livello di un’opera pienamente matura.
Soprattutto in alcuni punti la versificazione resta un po’ troppo discorsiva, oppure il ribaltamento di senso si fa eccessivamente “dichiarato”, quasi pagando pegno alla forza di quella stessa codificazione linguistica che si vorrebbe scardinare. Il ritmo del respiro rallenta un po’, e il risultato è che alcuni testi sono leggermente macchinosi, là dove invece la forza centrifuga della poesia di Catia è solitamente molto potente.
Originale ed azzeccata anche la scelta di eliminare la punteggiatura, affidando alla sola versificazione, ed eventualmente alle maiuscole di inizio verso, il compito di trovare le pause e le licenze poetiche di tipo grammaticale. Tuttavia il tentativo – legittimo in sé per sé – di evitare inutili tecnicismi, nell’assolutizzazione della scelta stilistica produce a mio avviso a volte l’effetto opposto, là dove lo scorrimento di alcuni testi ne risulta un po’ ampolloso.
Ma queste ovviamente sono solo suggestioni e punti di vista del tutto personali, che nulla tolgono al valore complessivo de “Il marinaio migliore”. Né tanto meno a quello di un’autrice che rispetto al suo primo libro “Tra le cinque e le sei”, LietoColle 2012, ha già compiuto un miglioramento molto sensibile.
Il merito va dunque anche ad Edizioni Ensemble, per aver dato voce ancora una volta ad autrici di rilievo che il mainstream culturale italiano avrebbero rischiato altrimenti di mandare nel dimenticatoio.
E ad una poetessa che se continuerà a lavorare sulla strada intrapresa, ha il potenziale secondo me per affermarsi come una delle voci più particolari e originali del nostro panorama poetico attuale.
Dal mio punto di vista Catia Manna sembra aver colto un aspetto importante della possibile liberazione dell’essere umano che la poesia può portare oggi in un mondo fatto di mercificazione, nichilismo, egoismo e selfie come momento più alto di empatia e socializzazione artistica.
E cioè che non è proponendosi di “cercare diversamente” un qualsiasi aspetto o paradigma valoriale, che si può portarlo al di fuori della spettacolarizzazione del linguaggio inscritta fin nelle stanze più profonde da parte di un potere coestensivo al corpo sociale.
Bensì solo negando radicalmente ed ontologicamente quel paradigma valoriale, si possono aprire orizzonti di senso infiniti dove scavare col martello pneumatico della poesia, le gallerie che ci portino oltre il macigno della Storia verso oceani di possibile riqualificazione di quel valore, del suo profumo portato dal vento, della sua bellezza sensuale e misteriosa
Naufraghiamo purché le ceneri
non siano disperse in mare
[…]
Sottocoperta ad ogni vento
i barili del nostro sale
[…]
Fanno impallidire secoli di colpe
e verde è la pena
Non esiste il marinaio migliore
[pag. 68]