Archive for novembre, 2011


 

 

 

 

 

 

 

 

Ci sono scritture che nascono da esigenze interiori immediate o impellenti di raccontare, esprimere o comunicare qualcosa. E ci sono scritture che nascono dalla richiesta esterna e contingente di essere scritte. Spesso è sul filo dell’incontro fra questi due fattori che si tesse il percorso di uno scrittore.

“Se fossi fuoco, arderei Firenze”, libro da poco uscito per “Contromano” Laterza, è forse in questo senso il primo punto di incontro più organico per Vanni Santoni, lo scrittore valdarnese trapiantato sotto la cupola del Brunelleschi, già autore per Feltrinelli del romanzo “Gli interessi in comune”.

Curatore già da qualche anno di una rubrica del Corriere Fiorentino sulle strade del capoluogo toscano, Vanni ha coniugato questa sua esperienza professionale – e la relativa richiesta da parte della casa editrice pugliese, di renderla fruibile alla sua collana dedicata ad aprire finestre su squarci di Belpaese – con la voglia di raccontare una Firenze nuda e cruda di fronte alla propria stessa decadenza attuale. Un’impotente decadenza generazionale, culturale, sociale e in qualche modo inevitabilmente anche politica, che trasuda da ogni poro dei suoi 23 personaggi. Le cui vicende si intersecano nelle maglie del reticolato cittadino, restituendo ottimamente la dimensione da “paesone” che caratterizza quella che fu la capitale del Rinascimento. La quale si erge dispiegandosi via via in tutta la sua fama imperitura, come unico vero personaggio onnipresente, confermando così le sue ben note manie di protagonismo.

L’aspetto più coinvolgente del libro è senza dubbio l’intreccio narrativo dei personaggi, i quali si passano per così dire il testimone in un reticolato orizzontale di soggettività e punti di vista diversi/e, su uno stesso scenario di narrazione, che è – appunto – la Firenze di oggi. Struttura che – oltre ad essere di per sé molto divertente – risulta anche ben congeniale alla necessità di restituire la complessità e multiformità del vissuto generazionale di una delle principali città italiane. In questo modo, Firenze può diventare – come suggeriva lo stesso autore durante la presentazione a Roma – un “personaggio aggiunto”. Diversamente da quello che invece avrebbe consentito una struttura narrativa verticale, dove uno o pochi personaggi principali dominano tutta una serie di personaggi secondari o comparse, oltre allo spazio scenico.

In chiave generale, forse poteva starci anche una catena del tutto aperta e lineare. Il che avrebbe offerto una dimensione più prospettica al romanzo, consentendo così al lettore un maggiore possibilità di “perdersi” in esso. Ma in questo caso specifico la scelta di una concatenazione di tipo circolare mi sembra azzeccata, perché restituisce nel migliore dei modi – appunto – il contesto da grande paese dove tutti conoscono un po’ tutto e tutti che è Firenze, specialmente dal punto di vista degli studenti e degli artist/oidi.

Nella gran parte dei punti di sutura del reticolato c’è una buona fisicità nell’incontro fra i personaggi, che consente un altrettanto adeguato e naturale “passaggio di consegne” delle rispettive soggettività. In alcuni però questa fisicità viene un po’ meno rendendolo leggermente più artificiale, e il gioco un po’ si perde. Sono comunque piccole stonature.

D’altro lato però questo stesso tipo di intreccio, proprio quando non è strettamente legato a una fisicità, permette anche di aprire dei canali spazio-temporali nella tessitura del romanzo. Creando così un mix molto interessante e ben riuscito fra una concezione lineare del tempo, tipica della tradizione occidentale, ed una circolare tipica di tante civiltà pre-cristiane ed orientali.

I vari protagonisti restano continuamente sospesi fra il sentirsi stritolare nella morsa di una città-fantasma, percepita come arida di opportunità e fuori dai giochi realmente importanti, e la tensione ad andarsene, essa stessa sempre in qualche modo disillusa anche qualora si realizzi. Quasi come se quella di Firenze fosse una maledizione a cui si è destinati prima o poi a fare ritorno, attratti dal magnetismo del suo potere eterno, o una patologia congenita.

E Santoni ricorda in tutti questi aspetti, il Joyce di Gente di Dublino. All’autore va dunque il merito dell’epifania, nell’essere riuscito a farne un’opera interessante e coinvolgente. Nella quale i personaggi sono sempre stimolati o costretti dalla loro precarietà esistenziale, a confrontarsi più intimamente e autenticamente con sé stessi e il proprio ambiente, impossibilitando il lettore a restare indifferente.

Ci sono anche dei passaggi in cui forse gli eventi si disarcionano un po’ per inerzia, col rischio di appesantire un pochino il fluire della narrazione (penso ad esempio alla festa con Girolamo e Bekko a casa di Berenice, o alla vicenda di Bube e Antonietta). Magari questo stesso aspetto è voluto, proprio per esprimere appunto l’inerzialità del vivere fiorentino in molti suoi giovani. Ma mi è sembrato che in altri punti ciò sia riuscito con più profondità, come ad esempio nella crisi di Cosimo o nei pensieri di Annabel, per non parlare del bellissimo finale a S. Miniato.

La stesso intreccio narrativo dei personaggi, trova forse proprio in questo aspetto il suo rovescio della medaglia: il reticolo orizzontale di soggettività non permette, per sua stessa struttura, di indagarle con la complessità e la minuzia di un soggetto psicologico tout-court, per quanto in varie vicende l’intensità traspaia forte. In questo modo i personaggi tendono un po’ indirettamente ad uniformarsi nel disagio comune, pur nella loro diversità, ma questo può fare il gioco del senso complessivo del romanzo.

A rendere criticamente stimolante quest’opera credo vada aggiunta anche, se così la possiamo definire, la sua tipologia. Ovvero il tentativo di coniugare la dimensione del romanzo con quella della giuda cittadina per approdare, come recita anche la seconda di copertina, ad una forma di giuda-romanzo.

L’incontro fra i due generi, come ogni incontro, è interessante e sperimentale. Ma come ogni incontro deve secondo me riuscire ad amalgamare al meglio tutti gli ingredienti, in modo tale che nel piatto finale si percepisca l’effetto di ognuno senza poterlo discernere da quello degli altri.

“Se fossi fuoco, arderei Firenze” nel complesso lo fa, e l’impresa può dirsi ben riuscita. Anche se in qualche punto mi sembra che l’aspetto descrittivo della città e dei luoghi possa risultare un po’ troppo macchinoso, o esterno al contesto situazionale, dando un senso eccessivamente “manualistico” della narrazione (penso ad esempio a Doris dentro la Pergola o alla passeggiata notturna di Diego). In altri casi invece, come in Ashlar che passa in rassegna i lampredottari di Firenze o nelle nostalgie di Carlone all’Emerson, anche “l’ingrediente” guida si intinge con naturalezza del dinamismo psichico dell’ingrediente romanzo.

Forse mi sarebbe piaciuto un po’ più di surrealismo, di distorsione psicologica delle vicende e dei luoghi, di assurdità. Posto che lungo tutto il libro l’elemento del paradosso unisce spassosamente le pagine come uno dei fili conduttori (dalla rissa fra Alfonso e i gambrini, alla vicenda di Duccio dentro maniaco e relativi scleri ed alla tazzata in testa a Doris. Fino alle improbabili dissertazioni di Gervasi, al “gioco cartesiano” di Giovanni, ma soprattutto alle avventure oniriche del professor Brunetti versione Indiana Jones e le porte di Firenze).

All’interno del paradigma controverso della guida-romanzo viene mantenuto invece un approccio abbastanza realista, come credo esso richiedesse per la sua buona riuscita.

Arricchito dal lato descrittivo di vie e luoghi secolari in chiave attuale che è molto denso e ben curato. Fin nell’impresa onerosa ma ineluttabile di descrivere ciò che resta indescrivibile, e cioè la cupola del Duomo a pagina 133.

Un realismo puntuale che getta finalmente una luce impietosa su quella che ancora oggi è superficialmente ed ingenuamente considerata, come uno dei fiori all’occhiello della cultura europea e delle politiche sociali e giovanili in Italia.

Di un ardore che sotto le fiamme incenerenti della dissacrazione, accende anche la miccia di uno spirito ed una volontà di rivalsa e di risveglio. Tutti fattori che contribuiscono ad accrescere il valore storico che quest’opera ha. I libri migliori, direbbe forse Orwell, sono proprio quelli che ci dicono ciò che in qualche modo già sapevamo, ma non avevamo mai avuto la capacità di leggere fino in fondo.

 

http://sarmizegetusa.wordpress.com/se-fossi-fuoco-arderei-firenze-%e2%80%93-rassegna-stampa/  

 

 

Presso la Biblioteca comunale di Rignano sull’Arno, via Garibaldi 25.

Con la partecipazione di Edoardo Olmi, autore di “Il porcospino in pegaso”, 
Felici Editore 2010 e Samuele Staderini consigliere comunale.

Sarà presente l’autore.

A seguire aperitivo.

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